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Marketing Strategico 2024: 13 dimensioni per Crescita e ROI

Introduzione

Ho sempre avuto per il marketing strategico una preferenza. Un po’ come all’università tra macroeconomia e micro economia. Ho sempre preferito la prima, trovando meno affascinante – almeno personalmente – la seconda e il marketing operativo. Ho pensato di costruire dei contenuti che potessero dare l’idea di cosa sia il marketing strategico, che negli ultimi anni si è allargato sempre più ibridandosi con altre materie e contributi. A mio avviso, è proprio, questo che lo rende così interessante e capace di giocare un ruolo chiave nel business e nella progettazione di prodotti e servizi. Vediamo allo per il Marketing Strategico 2024: 13 dimensioni per Crescita e ROI.

Partiremo quindi con questo primo contributo che vuole essere una sorta di presentazione di cosa sia il marketing strategico e le sue declinazioni in 13 dimensioni o aree di focus da esplorare e attuare per la crescita di un business e del roi di un’impresa.

Definizione di marketing strategico

Ma cosa si intende esattamente per marketing strategico e perché è così cruciale?

Il marketing strategico si occupa di analizzare, pianificare e implementare strategie di marketing a lungo termine, allineate con gli obiettivi aziendali complessivi. A differenza del marketing operativo, che si concentra su azioni a breve termine, il marketing strategico guarda al futuro, anticipando i cambiamenti del mercato e posizionando l’azienda per il successo sostenibile. Se, infatti, il marketing operativo ha un orizzonte temporale di un anno, sei mesi o addirittura settimane, il marketing strategico guarda a 3 o 5 anni, cercando di anticipare i possibili cambiamenti (tecnologici, climatici, sociali) che possono essere interpretati come possibilità o purtroppo, anche come rischi. Pensiamo ad esempio ad una attività ricettiva in montagna accanto ad un impianto di risalita per lo sci, in caso di diminuzione dell’innevamento a causa del cambiamento climatico.

Nel contesto attuale quindi, il marketing strategico assume un’importanza chiave perchè permette alle aziende di:

  • Identificare e sfruttare nuove opportunità di mercato
  • Costruire e mantenere un vantaggio competitivo duraturo
  • Allocare le risorse in modo efficiente per massimizzare il ritorno sull’investimento (ROI)
  • Adattarsi rapidamente ai cambiamenti del mercato e alle esigenze dei consumatori
  • Creare un brand forte e riconoscibile che risuoni con il pubblico target

Marketing Strategico 2024: 13 dimensioni per Crescita e ROI

Ma come implementare in maniera completa e sistemica, il marketing strategico all’interno di un’impresa e Istituzione o come professionisti? Ho selezionato 13 dimensioni o aree di focus che possono guidare la crescita aziendale e migliorare il ROI nel 2024 e oltre. Queste dimensioni coprono un ampio spettro di attività, dalla pianificazione iniziale all’implementazione di tecnologie all’avanguardia, offrendo un approccio olistico al marketing strategico. Vanno approcciate a mio avviso pensando ad un approccio sistemico e poi successivamente analitico, in cui il marketing operativo – con i suoi contributi e tecniche – vi verrà in supporto. Perchè si sa, la migliore strategia è nulla se non viene messa in pratica.

Le 13 dimensioni che analizzeremo sono:

Analisi strategica

Marketing mix (4P/7P)

Branding e brand management

Customer journey mapping

Content marketing strategico

Omnichannel marketing

Account-based marketing (ABM)

Customer Lifetime Value (CLV)

Marketing automation

Analisi dei dati e KPI

Strategia di growth hacking

Marketing predittivo

Sostenibilità nel marketing

L’obiettivo di questo articolo non è trattare ogni dimensione in maniera approfondita, ma di dare una panoramica dell’importanza e del contributo che ciascuna dimensione porti all’attività di marketing strategico e capire se magari all’interno dei vostri piani o delle vostre aziende state già analizzando questi aspetti.

Marketing Strategico 2024: 15 dimensioni per Crescita e ROI

Analisi strategica

L’analisi strategica è il fondamento nel processo di marketing strategico, ne costituisce il punto di partenza e se l’azienda avrà successo. Questa fase, infatti, è cruciale perchè serve per collezionare ed analizzare tutte le informazioni utili, su cui verranno prese le decsioni strategiche prese dall’azienda come la scelta del proprio posizionamento, il target a cui destinare la propria offerta, come allocare le risorse in modo efficiente e massimizzare il ritorno sull’investimento (ROI). Ma quali sono gli elementi chiave del processo di analisi strategica? E con quali strumenti?

  • Analisi del mercato e della concorrenza
  • Segmentazione del mercato e posizionamento
  • Definizione degli obiettivi
  • Analisi SWOT per marketing

L’analisi della concorrenza e la segmentazione del mercato sono gli strumenti che permettono di comprendere il mercato in cui vogliamo operare. Dobbiamo fare una precisazione. Ci sono due modi di decidere di operare come impresa (ma anche come libero professionista). Possiamo aver un’idea di prodotto ( o averlo già sviluppato) e dobbiamo decidere come venderlo sul mercato. Oppure possiamo analizzare i mercati per vedere dove il consumatori hanno un bisogno più o meno latente che ancora nessun prodotto e servizio ha dato una risposta. In questo caso parliamo della famosa strategia Oceano Blu.

In ogni caso, per entrambi gli approcci, abbiamo bisogno di partire dall’analisi della concorrenza che è un processo sistematico che prevedere un benchmark competitivo (ovvero identificare i principali concorrenti del settore e analizzarne le offerte, le strategie di marketing e il posizionamento e valutare le performance finanziarie e le quote di mercato).

Successivamente, occupatevi della segmentazione del mercato ovvero del processo di divisione del mercato in gruppi distinti di consumatori con esigenze, caratteristiche o comportamenti simili (demografica, geografica, economica, comportamentale).

L’analisi della concorrenza e la segmentazione del mercato servono per darvi un’idea chiara di dove sono i vostri concorrenti e dove si collocano i vostri potenziali clienti. Ora dovete scegliere i vostri obiettivi. Questo aspetto è fondamentale perchè solamente una volta fatto questo potrete avviare la famosa analisi SWOT e non prima come sbagliano in molti. Ricordatevi che gli obiettivi devono essere SMART – acronimo delle parole inglesi: SPECIFIC (specifico), MEASURABLE (misurabile), ACHIEVABLE (raggiungibile), RELEVANT (rilevante), TIME-BASED (basato sul tempo).

Se state avviando un piano strategico per la prima volta gli obiettivi saranno legati a quote di mercato o fatturato, se invece siete già operanti sul mercato possono essere obiettivi legati al lancio di nuovi prodotti o servizi, all’acquisizione di nuovi mercati Paesi, l’estensione a nuovi cluster di consumatore o semplicemente ad un delta incrementale delle vostre quote di mercato.

Infine come dicevamo, per concludere questa prima parte di analisi strategica, dovremmo occuparci di completare la nostra analisi SWOT.

Analisi SWOT per il marketing

L’analisi SWOT (Strengths, Weaknesses, Opportunities, Threats) è uno strumento potente per valutare la posizione di un’azienda nel contesto di mercato. Personalmente non è uno dei miei strumenti preferiti, ma le riconoscono una grande immediatezza come strumento di analisi. Come già detto uno degli errori più comuni nella compilazione dell’analisi SWOT è quello di compilare la matrice (si tratta infatti di una matrice a 4 quadranti) senza considerare l’obiettivo a cui si punta. La matrice infatti, richiede, di compilare rispetto a 4 dimensioni (2 interne all’azienda e due esterne) lo stato dell’arte in cui vi trovate per comprendere come raggiungere gli obiettivi.

  • Strengths (Punti di forza): Identificate ciò che la vostra azienda fa meglio dei concorrenti. Può trattarsi di una forte brand reputation, tecnologie proprietarie o un team di esperti.
  • Weaknesses (Punti di debolezza): Riconoscete onestamente le aree in cui la vostra azienda è carente. Potrebbe essere una presenza online limitata o una gamma di prodotti ristretta.
  • Opportunities (Opportunità): Esplorate le tendenze di mercato, i cambiamenti tecnologici o i nuovi segmenti di clientela che potreste sfruttare.
  • Threats (Minacce): Valutate i fattori esterni che potrebbero ostacolare il vostro successo, come nuovi concorrenti o cambiamenti normativi.

Leggi qui per un approfondimento sulla storia e l’utilizzo della SWOT. Puoi utilizzare Mirò come strumento di collaborazione con il tuo team.

Marketing mix (4P/7P)

Conosciuto anche come le 4P, questo modello abbraccia quattro elementi chiave che, quando armonizzati, creano una sinfonia di successo nel mercato: Prodotto, Prezzo, Promozione e Punto vendita (Place). Il modello nasce negli anni Quaranta e sebbene nel tempo si sia evoluto, in realtà anche nella sua formulazione originale rimane una dimensione fondamentale nel strutturale un piano di marketing strategico.

Il Prodotto è il cuore pulsante di ogni strategia di marketing. Qui, le aziende devono definire con chiarezza cristallina ciò che offrono al mercato. Non si tratta solo di descrivere un oggetto o un servizio, ma di raccontare una storia di valore. Le caratteristiche uniche, i benefici tangibili, la qualità impeccabile e un design accattivante sono tutti elementi che contribuiscono a plasmare l’identità del prodotto. Il branding e il packaging giocano un ruolo cruciale in questo racconto, creando un’immagine che risuona con il pubblico target. Inoltre, comprendere il ciclo di vita del prodotto permette di anticipare e navigare le diverse fasi del suo percorso nel mercato.

Il Prezzo è l’arte di bilanciare il valore percepito con la profittabilità. È un delicato gioco di equilibri che richiede una profonda comprensione non solo dei costi e dei margini, ma anche della psicologia del consumatore. Le strategie di pricing, che spaziano dal premium al penetration pricing, devono essere calibrate con precisione. Sconti e promozioni, se utilizzati con saggezza, possono essere potenti leve per stimolare le vendite. Tuttavia, è fondamentale comprendere l’elasticità della domanda per prevedere come il mercato risponderà ai cambiamenti di prezzo.

La Promozione è il ponte che collega il prodotto al consumatore. In un’era di comunicazione multicanale, le aziende devono orchestrare un mix armonioso di strumenti promozionali. Dalla pubblicità tradizionale alle relazioni pubbliche, dai social media al marketing diretto, ogni canale deve essere sfruttato per comunicare efficacemente il valore del prodotto. I messaggi chiave e il posizionamento devono essere coerenti e risonanti con il pubblico target. Il budget promozionale deve essere allocato strategicamente, sempre con un occhio attento al ritorno sull’investimento. I programmi di fidelizzazione, se ben progettati, possono trasformare clienti occasionali in ambasciatori del brand.

Infine, il Punto vendita (Place) assicura che il prodotto sia disponibile nel posto giusto al momento giusto. Nell’era digitale, questo concetto si è espanso ben oltre il negozio fisico comprendendo i canali digitali come ad esempio l’e-commerce. Le aziende devono navigare un complesso ecosistema di canali di distribuzione, bilanciando strategie dirette e indirette. La copertura del mercato deve essere ottimizzata, assicurando una presenza capillare senza disperdere risorse. La logistica e la gestione dell’inventario sono cruciali per mantenere un flusso costante di prodotti. L’e-commerce e le strategie omnichannel sono diventati imperativi, offrendo ai consumatori un’esperienza d’acquisto fluida e integrata in tutti i punti di contatto (touch point).

L’arte del Marketing Mix risiede nell’orchestrazione armoniosa di questi quattro elementi. Ogni P deve essere in sintonia con le altre, creando una strategia coerente e allineata con gli obiettivi aziendali complessivi. Un Marketing Mix ben calibrato può conferire un vantaggio competitivo significativo, elevando la soddisfazione del cliente e catalizzando le vendite.

Anche in questo caso puoi utilizzare Mi come strumento di collaborazione con il tuo team.

Marketing Mix

Branding e brand management

Nel vasto oceano del marketing strategico, il branding emerge come un faro luminoso, guidando le aziende verso lidi di successo e riconoscibilità. Più di un semplice logo o di un nome accattivante, il branding è l’arte di infondere un’anima alla propria azienda, di raccontare una storia che risuona profondamente con il pubblico, creando connessioni emotive che vanno ben oltre la semplice transazione commerciale.

Immaginate il branding come la personalità della vostra azienda. Proprio come una persona carismatica lascia un’impressione durevole, un brand forte si incide nella mente dei consumatori, diventando sinonimo di valori, qualità e promesse mantenute. È quel sottile filo rosso che lega insieme ogni interazione con il cliente, dal primo sguardo a una pubblicità fino all’esperienza post-vendita.

Al cuore di ogni strategia di branding efficace risiede la brand identity. Questa non è solo una questione di estetica visiva, ma una complessa alchimia di elementi tangibili e intangibili. I colori, il logo, il tono di voce nelle comunicazioni, tutto contribuisce a dipingere un quadro coerente e riconoscibile. Ma è la promessa di valore, l’essenza stessa del brand, che davvero cattura l’attenzione e la fedeltà dei consumatori.

In un mercato saturo di opzioni, il posizionamento del brand diventa cruciale. Non si tratta semplicemente di trovare uno spazio vuoto nel mercato, ma di creare uno spazio nella mente del consumatore. Un brand ben posizionato si distingue dalla massa, offrendo una proposta di valore unica che parla direttamente alle esigenze e ai desideri del suo pubblico target.

La coerenza è la chiave di volta di un branding di successo. Ogni punto di contatto con il cliente, che sia un post sui social media, un’email di assistenza o il packaging di un prodotto, deve respirare la stessa aria di famiglia. Questa coerenza costruisce fiducia e familiarità, trasformando gradualmente semplici acquirenti in fedeli sostenitori del brand.

Ma attenzione: un brand non è un’entità statica. In un mondo in rapida evoluzione, la capacità di adattarsi mantenendo la propria essenza è fondamentale. I brand di successo sanno come evolversi con i tempi, rimanendo fedeli ai propri valori fondamentali. Pensate a come marchi storici hanno saputo reinventarsi, abbracciando nuove tecnologie e tendenze sociali senza perdere la propria identità distintiva.

Il vero potere del branding si manifesta quando trascende il prodotto stesso. I brand più forti non vendono semplicemente prodotti o servizi, ma uno stile di vita, un’appartenenza, un’idea. Pensate a come alcune marche di abbigliamento sportivo non vendono solo scarpe, ma ispirazione e determinazione. O come certi marchi tecnologici non offrono solo gadget, ma una visione del futuro, vedi Apple ad esempio.

Misurare l’impatto del branding può sembrare sfuggente, ma è essenziale. La brand equity, quel valore intangibile che si accumula nel tempo, si riflette nella fedeltà dei clienti, nella disponibilità a pagare un premium price, nella resilienza durante le crisi. Strumenti come sondaggi sulla percezione del brand, analisi dei social media e metriche di engagement offrono preziosi insight sulla salute e sul valore del vostro brand.

In conclusione, il branding è molto più di un esercizio di marketing: è la creazione di un’eredità duratura. È il processo attraverso il quale un’azienda trascende la sua natura di entità commerciale per diventare parte integrante della vita dei suoi clienti. In un mercato sempre più affollato e rumoroso, un brand forte è la voce che si fa sentire, il volto familiare in mezzo alla folla, la promessa di valore che si mantiene costante nel tempo. Investire nel branding non è un lusso, ma una necessità strategica per qualsiasi azienda che aspiri non solo a sopravvivere, ma a prosperare nel lungo termine.

Vuoi utilizzare uno strumento per la tua analisi di branding? Ti consiglio tra i vari modelli il Prisma di Kapferer.

Prisma di Kapferer branding

Fin a qui abbiamo parlato del cuore storico del marketing strategico. Cosa significa? Significa che dal momento della sua formulazione metodologica a partire dagli anni Cinquanta fino ad oggi questo approccio è rimasto immutato, al netto del fatto che oggi utilizziamo strumenti più avanzati, grazie all’avvento del digitale e di software. Le novità però più interessanti, e che appartengono alla contemporaneità del marketing, sono portate dalle dimensioni che vedremo successivamente qui. Andiamo a vedere i successivi focus del nostro “Marketing Strategico 2024: 13 dimensioni per Crescita e ROI” in particolare quelli legati all’aspetto della gestione del cliente attraverso il funnel di vendita.

Customer journey mapping

Il Viaggio del Cliente: Mappare l’Esperienza per Conquistare i Cuori

Nell’era dell’esperienza cliente, il Customer Journey Mapping emerge come una bussola indispensabile per navigare le complesse acque dell’interazione tra brand e consumatore. Immaginate di poter vedere il vostro business attraverso gli occhi dei vostri clienti, di percepire ogni emozione, ogni esitazione, ogni momento di gioia nel loro percorso con il vostro brand. Questo è esattamente ciò che il Customer Journey Mapping vi permette di fare.

Al cuore di questo approccio c’è l’idea che l’esperienza del cliente non è un singolo momento, ma una serie di interazioni interconnesse, un viaggio che inizia molto prima del primo acquisto e continua ben oltre. È come seguire le orme di un esploratore in un territorio sconosciuto, mappando ogni passo, ogni deviazione, ogni ostacolo incontrato lungo il cammino.

Il processo inizia con l’identificazione dei diversi “touchpoint”, quei momenti cruciali in cui il cliente entra in contatto con il vostro brand. Può essere la prima volta che sentono parlare di voi sui social media, la ricerca di informazioni sul vostro sito web, l’interazione con il servizio clienti, o il momento dell’acquisto stesso. Ogni touchpoint è un’opportunità, un momento di verità che può rafforzare o indebolire la relazione con il cliente.

Ma il Customer Journey Mapping va oltre la semplice catalogazione di questi punti di contatto. Si tratta di comprendere le emozioni, le aspettative e le motivazioni che guidano il cliente in ogni fase del percorso. Quali sono le loro speranze quando iniziano a cercare un prodotto come il vostro? Quali paure o dubbi potrebbero trattenerli dall’acquisto? Cosa li fa sentire valorizzati o, al contrario, frustrati durante l’interazione con il vostro brand?

Visualizzare questo viaggio spesso rivela insights sorprendenti. Potreste scoprire che ciò che consideravate un processo fluido è in realtà pieno di attrito per il cliente. O che un touchpoint apparentemente insignificante è in realtà cruciale per la decisione d’acquisto. Questi “momenti della verità” sono i punti in cui potete davvero fare la differenza, trasformando un cliente indeciso in un fedele ambasciatore del vostro brand.

La bellezza del Customer Journey Mapping sta nella sua capacità di rompere i silos organizzativi. Non è più solo il reparto marketing o il servizio clienti a essere responsabile dell’esperienza del cliente, ma l’intera organizzazione. Dal team IT che assicura un sito web veloce e intuitivo, al reparto logistica che garantisce consegne puntuali, ogni parte dell’azienda ha un ruolo da giocare in questo viaggio.

Ma attenzione: il viaggio del cliente non è statico. In un mondo in rapida evoluzione, con nuove tecnologie e canali che emergono costantemente, la mappa deve essere aggiornata regolarmente. È un processo continuo di osservazione, analisi e adattamento.

L’obiettivo finale? Creare un’esperienza cliente senza soluzione di continuità, dove ogni interazione si fonde armoniosamente con la successiva. Dove le aspettative non sono solo soddisfatte, ma superate. Dove i momenti di gioia sono amplificati e quelli di frustrazione minimizzati o trasformati in opportunità di eccellere.

Implementare con successo il Customer Journey Mapping richiede un mix di dati quantitativi e intuizioni qualitative. I dati analitici vi diranno cosa stanno facendo i vostri clienti, ma le interviste, i focus group e l’osservazione diretta vi aiuteranno a capire perché lo fanno. È questa combinazione di scienza e empatia che rende il Customer Journey Mapping così potente.

In conclusione, il Customer Journey Mapping non è solo uno strumento di marketing, ma una filosofia aziendale. È un impegno a vedere il mondo attraverso gli occhi dei vostri clienti, a camminare nei loro panni. In un mercato dove i prodotti possono essere facilmente copiati, è l’esperienza cliente che diventa il vero differenziatore. E il Customer Journey Mapping è la chiave per creare esperienze che non solo soddisfano, ma incantano, trasformando clienti occasionali in fedeli sostenitori del vostro brand. In questo viaggio, ogni passo conta, ogni interazione è un’opportunità. Siete pronti a mappare il vostro cammino verso il successo?

Se vuoi uno strumento semplice per l’implementazione del Customer Journey mapping puoi usare sempre Miro.

Customer Journey Map

Content marketing strategico

Era il 1996 e Bill Gates scriveva in un articolo su sito di Microsoft questa frase “Content is King“, descrivendo come il futuro di Internet sarebbe stato la generazione di profitto dalla creazione dei contenuti. Sebbene questa frase sia datata (alcuni hanno proposto di sostituire content con contest) soprattutto considerando la velocità dei cambiamenti della re, il Content Marketing Strategico rimane uno strumento centrale per creare e distribuire contenuti preziosi e rilevanti per attrarre, coinvolgere e fidelizzare un pubblico target ben definito. Questo approccio si basa sulla creazione di valore attraverso contenuti che educano, intrattengono o risolvono problemi, piuttosto che sulla promozione diretta di prodotti o servizi. Al cuore di una strategia di content marketing efficace c’è la comprensione profonda del proprio pubblico, delle sue esigenze e dei suoi punti dolenti.

La chiave del successo risiede nella coerenza e nella qualità dei contenuti, che devono essere allineati agli obiettivi aziendali e ottimizzati per i motori di ricerca (SEO). Questo include una varietà di formati come blog post, video, podcast, infografiche e white paper, distribuiti attraverso molteplici canali. L’obiettivo è costruire autorevolezza nel settore, generare fiducia e instaurare relazioni durature con i clienti.

Il content marketing strategico richiede un approccio a lungo termine, con un focus sulla misurazione e l’ottimizzazione continua. Analizzando metriche chiave come engagement, conversioni e ROI, le aziende possono affinare costantemente la loro strategia. Quando eseguito con maestria, il content marketing può trasformare significativamente la percezione del brand, guidare la generazione di lead qualificati e, in ultima analisi, incrementare le vendite e la fedeltà dei clienti.

Omnichanel marketing

L’Integrazione dei canali di marketing, spesso definita strategia omnichannel, è diventata imperativa nell’era digitale. Questa approccio mira a creare un’esperienza cliente fluida e coerente attraverso tutti i punti di contatto, sia online che offline. L’obiettivo è superare la frammentazione tipica delle strategie multichannel, dove ogni canale opera in modo isolato, per creare invece un ecosistema integrato dove ogni interazione si fonde armoniosamente con le altre.

Al cuore di questa strategia c’è la comprensione che il percorso del cliente moderno è non lineare e multidimensionale. I consumatori passano senza soluzione di continuità dal negozio fisico al sito web, dai social media all’app mobile, e si aspettano un’esperienza uniforme ovunque. L’integrazione dei canali richiede una visione olistica del customer journey, supportata da sistemi tecnologici che permettono la condivisione dei dati in tempo reale tra i diversi touchpoint.

Il successo di una strategia omnichannel si misura non solo in termini di aumento delle vendite e della fedeltà dei clienti, ma anche nell’efficienza operativa e nella coerenza del brand. Richiede una stretta collaborazione tra i vari dipartimenti aziendali, dall’IT al marketing, dalle vendite al servizio clienti. Quando eseguita correttamente, l’integrazione dei canali di marketing non solo migliora l’esperienza cliente, ma fornisce anche preziosi insight sul comportamento dei consumatori, permettendo strategie di personalizzazione sempre più sofisticate.

Passiamo ora ad un ultimo blocco dei nostri contenuti Marketing Strategico 2024: 13 dimensioni per Crescita e ROI per arrivare alla parte riservata più al dato e alla crescita.

Account-based Marketing (ABM)

VV

Customer Lifetime Value (CLV)

VV

Marketing automation

La Marketing Automation rappresenta una rivoluzione nel modo in cui le aziende interagiscono con i propri clienti e potenziali clienti. Questo potente strumento permette di automatizzare e ottimizzare le attività di marketing, creando esperienze personalizzate su larga scala. Al cuore della Marketing Automation c’è la capacità di segmentare il pubblico in base a comportamenti, preferenze e fasi del customer journey, permettendo di inviare il messaggio giusto, al momento giusto, attraverso il canale più appropriato.

Dalla gestione delle campagne email al nurturing dei lead, dalla personalizzazione del contenuto web all’ottimizzazione dei social media, la Marketing Automation offre un approccio integrato e data-driven. Consente di tracciare e analizzare le interazioni dei clienti in tempo reale, fornendo preziosi insight per affinare continuamente le strategie di marketing. Inoltre, liberando il team marketing da compiti ripetitivi, permette di concentrarsi su attività più strategiche e creative.

L’implementazione efficace della Marketing Automation richiede una chiara strategia, contenuti di qualità e una profonda comprensione del proprio pubblico. Quando eseguita correttamente, può portare a un significativo aumento del ROI, una migliore qualificazione dei lead e una customer experience più coerente e personalizzata. In un’era in cui la rilevanza e la tempestività sono cruciali, la Marketing Automation si rivela un alleato indispensabile per le aziende che mirano a eccellere nel panorama digitale in rapida evoluzione.

La Marketing Automation è possibile attraverso l’implementazione di software la cui scelta dipende da vari fattori come la dimensione dell’azienda, il budget, le esigenze specifiche di automazione, l’integrazione con sistemi esistenti e il livello di complessità desiderato. È consigliabile provare le versioni demo di diversi software per trovare quello più adatto alle proprie esigenze. Uno dei software più usati per iniziare soprattutto partendo dalla gestione del’email marketing in versione automatizzata è sicuramente Mailchip fino ad arrivare a soluzioni più complesse che posso servire come veri e propri CRM.

Flaccovio Marketing Automation

Se vuoi conoscere meglio il marketing automation, questo libro di Giulio Colnaghi edito da Flaccovio è un’ottima guida completa per iniziare.

Analisi dei dati e KPI

L’Analisi dei dati e i KPI (Key Performance Indicators) sono il motore che alimenta le decisioni di marketing basate sui fatti. In un’era dominata dai dati, la capacità di raccogliere, interpretare e agire su informazioni concrete è diventata cruciale per il successo aziendale. L’analisi dei dati permette di comprendere profondamente il comportamento dei clienti, l’efficacia delle campagne e le tendenze di mercato.

I KPI, d’altra parte, sono le metriche chiave che traducono i dati grezzi in insight azionabili. Questi indicatori, che spaziano dal tasso di conversione al costo per acquisizione cliente, dal lifetime value al tasso di engagement sui social media, forniscono una visione chiara delle performance di marketing. La chiave è selezionare i KPI più rilevanti per gli obiettivi specifici dell’azienda e monitorarli costantemente.

L’implementazione di una cultura data-driven richiede non solo strumenti tecnologici avanzati, ma anche un cambio di mentalità aziendale. Attraverso dashboard interattive e report regolari, i team di marketing possono visualizzare le performance in tempo reale, identificare rapidamente problemi e opportunità, e prendere decisioni informate. Questo approccio permette di ottimizzare continuamente le strategie, allocare le risorse in modo più efficiente e dimostrare concretamente il ROI delle attività di marketing.

Su questo punto, amio avviso, uno degli approcci più interessanti è quello offerto dalla metodologia degli OKR. Impossibile da spiegare in poche righe, vi consiglio di partire dal libro che ha dato vita alla metodologia e dal video .

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Branding

David Aaker: il modello di Branding

David Aaker: 20 principi per il successo.

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David Aaker: il modello di Branding

David Aaker è uno dei grandi padri americani del branding. Una vera autorità. 15 libri tradotti in 15 libri e venduti in tutto il mondo e oltre 100 articoli. Professore di Marketing Strategy alla Haas School business dell’Università di Berkeley California, è stato tra i primi ad definire il branding come vera e propria disciplina con un modello metodologico e procedurale completo, con la definizione nel 1996 del “modello di identità di marca” detto anche “modello di Aaker“. David Aaker Modello di Brand Loyalty

Il testo parte dall’assunto chiave del branding ovvero che i brand siano asset strategici, ovvero che brand forti possono essere la base per un vantaggio competitivo futuro e per una redditività a lungo termine. Uno dei primi obiettivi del brand bulding è quindi creare, migliorare e sfruttare il valore di marca, le cui dimensioni principali sono consapevolezza, associazioni e fedeltà al parco clienti. In altre parole:

brand awareness

brand associations

brand loyalty

Ovvero i concetti chiave del branding.

Il brand è “valore”. Ovvero denaro. Non a caso, da più di un decennio società come Interbrand e Millward Brown stilano classifiche annuali e di settore per valutare la stima dei valori di brand con Coca Cola, Apple, GE, LVMH, Ibm, McDonalds, Ford.

In un mercato sempre più affollato, gli sciocchi si fanno concorrenza sul prezzo. I più intelligenti trovano un modo per creare un valore duraturo nella mente del consumatore.

Dice, non a caso, Tom Peters.

Il libro ha una lettura facile, con sintesi finale per ogni capitolo. La scrittura è veloce, con esempi purtroppo “molto americani” e di mercato mass. Per cui forse, manca di un’analisi lato brand di nicchia o indie, se preferiamo chiamarli così. Ma rimane il fatto, che una volta compresa la teoria sarà più facile applicare tali principi anche alla nicchia.

Uno degli aspetti più interessanti del libro è l’analisi della struttura organizzativa funzionale alla gestione corretta del branding e come i modelli organizzativi impostati correttamente in funzione del branding possono potenziare l’azienda stessa (esempio modello silos). Sempre nella stessa direzione va il capitolo “internal branding” che a detta dell’autore richiede ” comprendere i valori, credere in esso e viverlo”, per ottenere un’autentica e intesa esperienza di marca.

Infine una nota a margine. Sebbene il libro non parli mai direttamente di personal branding in realtà i suoi principi possono essere applicati al tema della costruzione dell’identità personale e professionale ugualmente.

Se non sai dove stai andando, arriverai da qualche altra parte.

Yogi Berra

Il libro è acquistabile online su Amazon.

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Marketing Culturale

Branding Culturale: come potenziare la comunicazione della cultura

Branding Culturale: un estratto della mia intervista al blog di Giunti Academy dove tengo il corso di Cultural Branding al Master di Economia e Gestione dei beni Culturali.

Micol, partiamo dalle basi. Cosa si intende per “branding” e come si declina questo concetto in ambito culturale?

«In estrema sintesi, il branding è un processo di costruzione di valore che parte dall’identità dell’oggetto. Personalmente lo definisco un “algoritmo creativo costruito con empatia”: un processo strategico e operativo con una componente tecnica (algoritmo) e una creativa, che si sviluppa però sempre dal DNA dell’oggetto della nostra indagine. Il branding è un’attività potenziante, uno “strumento” che amplifica l’identità e la riconoscibilità. Gli studi di psicologia cognitiva e le neuroscienze ci dicono che il nostro cervello, sebbene sia un organo complesso e ancora poco conosciuto, opera attraverso un principio molto semplice per la memorizzazione delle informazioni: trattiene infatti quelle che considera consistenti e di valore.

Cosa significa lavorare sul branding culturale?

Lavorare sul branding culturale significa potenziare la comunicazione della cultura, dotarla di uno strumento che le permetta di essere riconoscibile, familiare e risonante per il pubblico: di percorrere, cioè, i passaggi base per la creazione di un processo di audience development. Inoltre strategie di branding, specie di lungo periodo, si rivelano un investimento importante con rendite future. In un settore come quello culturale, spesso in sofferenza, significa ottimizzare e potenziare le risorse. Pensiamo, ad esempio, al periodo che abbiamo vissuto con il lockdown: da parte di molte istituzioni culturali, la mancanza di “fisicità” è stata sopperita con alcune attività di relazione digitale con il pubblico create e definite all’interno di una strategia di brand, prima ancora che di comunicazione».

Cosa significa “brandizzare” un museo o un progetto artistico?

«Molti storici della materia fanno riferimento alla parola “brandizzare” dal francese “brennan”, ovvero marchiare a ferro le mandrie: una pratica antichissima ma che dall’Ottocento è divenuta più diffusa. In realtà, l’esigenza di conoscere l’identità di un bene è sempre esistita, come testimoniano le più antiche civiltà. In epoca romana il famoso titulus pictus denotava l’origine e la provenienza delle merci: un marchio di garanzia e riconoscibilità. È proprio in questa “interpretazione” originaria che troviamo la parte nobile ma anche pratica della funzione di branding. Ovvero attribuire riconoscibilità memorabilità, soprattutto in un contesto contemporaneo di sovraesposizione ai messaggi.  Che sia un museo, un progetto o un artista, il punto di partenza è sempre dettato dai codici identitari. Brandizzare, quindi, non significa costruire artificialmente e a tavolino l’identità del soggetto. È piuttosto un processo “maieutico”, che si sviluppa nel tempo e nella relazione con il pubblico». 

Quali sono i key components di una brand vision e quando questa può dirsi attuata all’interno di un’istituzione museale?

«È una bella domanda. Soprattutto perché chiama in causa il vero cuore della materia: l’aspetto strategico e metodologico. Esistono molti modelli teorici a cui possiamo far riferimento per la costruzione di una brand vision. Possiamo scegliere modelli storici, come quello di David Aaker, o più intuitivi, come il Prisma di Kapferer o il modello degli Archetipi ispirato alla psicoanalisi junghiana. Non ci sono però formule matematiche o soluzioni universali. Le istituzioni museali, poi, sono organismi complessi. Molto più delle aziende, per via della loro natura e funzione. In generale, una brand vision può dirsi attuata quando sia l’audience sia i suoi stakeholder hanno una visione e un’interpretazione dell’istituzione chiara, condivisa e identitaria. Se pensiamo al MOMA abbiamo un esempio di una brand vision ben precisa: quella di Abby Aldrich Rockefeller, che nel 1929 sottolineò l’urgenza e la necessità di un museo che fotografasse la contemporaneità. I luoghi, i direttori, i curatori di questa istituzione si sono succeduti negli anni, ma la visione, così lungimirante e rivoluzionaria, è rimasta assolutamente intatta, sebbene attualizzata, quasi 100 anni dopo».  

Come si costruisce un “progetto di branding culturale”?

«Il progetto di branding, come dice l’utilizzo della forma verbale dell’infinito in inglese, indica la necessità di un processo costante nel tempo. Il punto di partenza è la strategia, come abbiamo detto precedentemente. Ma la strategia, senza una traduzione operativa, sarebbe inerme. L’operatività richiede la “messa a terra”, ovvero tradurre la visione in concretezza. Questo avviene innanzitutto attraverso l’individuazione dell’identità visiva, che, per un museo ad esempio, va declinata su tutti i supporti di comunicazione: non solo logo e font, ma anche i materiali dalla segnaletica o della didattica. L’identità, poi, passa anche attraverso il tone of voice. In un contesto dove i “touch point”, i punti di relazione con l’audience, aumentano (social network, sito internet, app), il tono di voce coerente e conforme è fondamentale per la riconoscibilità e il trasferimento dei valori della brand vision».  

Chi è il brand manager quindi? Quali sono le sue skill e le sue competenze?

«Sul branding esiste da sempre molta confusione, causata principalmente dall’associazione semplicistica che branding significhi “fare un logo”. In realtà il branding è un concetto polisemico sia nell’interpretazione che nelle discipline che vi confluiscono. La materia, infatti, afferisce ad ambiti diversi come economia, sociologia, psicologia, semiotica e progettazione grafica. Lo stesso “inventore”, Neil McElroy, giovane ex studente di Harvard entrato in Procter&Gamble nel suo famoso memorandum del 1935, aveva definito il branding come un campo “collaborativo” e multidisciplinare. Il brand manager richiede quindi competenze trasversali, complesse e approfondite.

E con quali figure professionali si confronta nelle sue attività di branding culturale?

Marketing, digitale, scienze umane sono solo alcune delle hard skill che deve portare in dote questa figura professionale; empatiapensiero critico e capacità di lavorare in team sono invece le soft skill principali. In un museo, il brand manager si deve confrontare con tutti i reparti tra cui quello curatoriale, di comunicazione e della didattica. Il brand manager ha però una sua indipendenza e autonomia, perché in realtà è al servizio dell’idea e dell’identità dell’istituzione».