L’intervento sull’innovazione fatto in occasione del primo compleanno di Rinascita Digitale.
Quando abbiamo iniziato a progettare la rubrica sull’innovazione, all’interno del palinsesto GoodMorningDoers, con Stefano Saladino ho pensato che la prima domanda da porsi fosse “Che cos’è l’innovazione”.
Si fa così no? Per capire un concetto parti dalla sua definizione. Quindi la domanda più logica sarebbe stata quella.
Allora mi è venuta in mente una risposta. Peccato che fosse ad un’altra domanda.
“Cos’è il Jazz?
“Amico, se lo devi chiedere, non lo saprai mai.”
Louis Armstrong
Questa frase è pronunciata da Louis Armstrong (1901 –1971), “Satchmo”, uno dei maggiori trombettisti e figure di rilievo nel panorama della musica jazz, che fu capace di portare quel genere musicale dai locali malfamati di periferia fino al grande cinema di Hollywood. Uno che conosceva sia il jazz che l’animo umano.
Perché è veramente difficile definire qualcosa di così complesso e umano, come è il jazz. E forse la stessa cosa potremmo dire dell’innovazione.
L’innovazione è una cosa antica.
Intorno a 75.000 anni fa, a partire dall’Africa alcune popolazioni umane iniziarono a manifestare comportamenti e capacità mai viste fino a quel momento, svincolate dalla mera sopravvivenza tra cui oggetti incisi come figure astratte, ornamenti per il corpo, sepolture rituali: innovazioni e variazioni tecnologiche: quello che Telmo Pievani definisce “l’alba dell’immaginazione, nel suo libro Imperfezione, una storia naturale.
Sebbene quindi l’innovazione sia un fenomeno antico per l’uomo, abbiamo iniziato a studiarla sistematicamente solamente 100 anni fa, grazie ai contributi di una economista viennese: Arthur Schumpeter.
Schumpeter è stato primo economista a studiare in modo ampio, sistematico ed approfondito il ruolo dell’innovazione nelle moderne economie industriali. Il suo pensiero evolve, cambiando notevolmente, nel corso di circa 30 anni dalla Teoria dello sviluppo economico (1912) a Capitalismo, socialismo e democrazia (1942) ma da lì in poi darà la strada ad importanti studi dell’innovazione, partendo dal suo contributo fondamentale “l’innovazione è un elemento competitivo per le aziende e le organizzazioni”.
Molti contributi si sono succeduti nel tempo, ma anche quelli più contemporanei a volte denotano un atteggiamento che potremmo definire scolastico.
Prodotti, servizi, applicazioni, metodi. Questa è l’innovazione classica. Tradizionale scolastica, appunto. Non nel senso della formazione ma come metafora della filosofia scolastica dominante nel Medioevo, che come dice Wikipedia, consisteva nell’illustrare e difendere le verità di fede con l’uso della ragione, verso la quale si nutriva un atteggiamento positivo. In sintesi, privilegio la sistematizzazione del sapere già esistente rispetto all’elaborazione di nuove conoscenze.
In realtà in questo percorso di contributi e studi sull’innovazione, il richiamo al jazz non è casuale. Nel 1999 Karl Weick, scrisse un contributo che ha fatto scuola «Improvisation as a Mindset for Organizational Analysis[1]» in italiano “Jazz e improvvisazione organizzativa”, dove sosteneva che è possibile fare un parallelismo tra il jazz e l’innovazione, perché in entrambe i campi si può improvvisare. C’è un passaggio importante in quel contributo. Il manager come un musicista jazz.
Scarica qui il PDF di Debora Ancona su Karl Weick “Improvisation as a Mindset for Organizational Analysis“
Nell’improvvisazione jazz le persone agiscono per pensare, il che le conferisce la caratteristica della creazione di senso (sense-making) a posteriori. A differenza di un architetto che lavora con i progetti e guarda al futuro, un musicista jazz non può guardare al futuro di ciò che sta per suonare, ma può volgersi indietro verso ciò che ha suonato; così ogni nuova frase musicale può essere formata sulla base di quella appena eseguita. Egli crea la sua forma retrospettivamente.[2]
E’ il passato che fa il presente, e di conseguenza il futuro. Che si ricollega al titolo che ho voluto dare a questo contributo: “L’innovazione è anche fare un passo indietro”.
L’innovazione non è un percorso lineare. Anzi, a volte innovare significa decidere di fermarsi e di fare un passo indietro. In questo percorso, siamo partiti con un passo indietro, il dubbio che l’innovazione potesse essere qualcosa di diverso. E che proprio in quel diverso, trovasse la sua vera funzione. Il suo vero significato. Volevamo leggere l’innovazione in modo più ampio. possiamo portare.
Sappiamo da sempre che l’innovazione è regala e toglie qualcosa. Pensiamo alla realtà di questi giorni. La tecnologia ci permette di essere qui, ora. Ma spesso quella stessa tecnologia ci sta togliendo delle cose. Ci espone a dei rischi. E qui dovremmo aprire una parentesi sulla consapevolezza.
Una definizione dell’innovazione
Allora siamo partiti tornati alla sua definizione. Perché, a parte la battuta di Louis Armstrong, le definizioni sono importanti.
L’origine tardo latina della parola, come ci ricorda il dizionario Nuovo De Mauro[3] deriva dal latino tardo innovatio –onis e ha due significati:
1. trasformare introducendo sistemi o metodi nuovi: innovare l’ordinamento scolastico; anche ass.: ansia, desiderio di innovare.
2. ridestare, ricreare un sentimento, una disposizione d’animo: estasi e pianto | e profumo, ira ed arte, a’ miei dì soli | memore innovo (Carducci)
Ricreare un sentimento. Cambiare una visione. Ridare un significato. E’ proprio qui, che abbiamo trovato il punto di partenza di quello che cercavamo. Avevamo bisogno, però, di un confronto. Venendo entrambi dal marketing, siamo sempre stati soggetti esposti in qualche modo all’innovazione. E la nostra stessa materia negli ultimi anni, insieme ad altre che sono terreno di lavoro nelle organizzazioni economiche e nelle imprese, come comunicazioni, branding e organizzazione aziendale – solo per citare qualche esempio – è stata travolta dall’innovazione e dal cambiamento.
L’innovazione è la ricerca di nuovi significati.
Ma avevamo bisogno di una cornice metodologica che sostanziasse la nostra necessità e la nostra intuizione. L’abbiamo trovato nei contributi del Prof. Roberto Verganti.
Da oltre vent’anni il Professor Verganti (Politecnico di Milano e School of Innovation di Stoccolma) segue, studia, analizza i processi dell’innovazione. Ha scritto numerosi libri, tiene conferenze internazionali sul tema, tra cui un bellissimo Ted Talk[4], insegna in contesti universitari materie come innovazione e leadership. Sintetizzare i suoi contributi non è immediato e non rende giustizia agli anni di ricerca teorica e sul campo. In estrema sintesi, Verganti parla dell’esistenza di due modelli di innovazione. Da una parte il modello classico e tradizionale, che ha finora dominato il mercato e la mentalità con cui viene sviluppata e gestita l’innovazione ovvero l’innovazione delle soluzioni.
Questo tipo di innovazione è quella che in assonanza all’Internet of things impropriamente “Innovation of things”: che siano beni materiali o immateriali poco importa, tale tipo di innovazione riguarda “nuove e migliori idee per risolvere un problema noto. Si tratta di individuare un nuovo come, un modo originale di introdurre dei cambiamenti che siano considerati rilevanti per un certo mercato.[5]”
Dall’altra parte invece troviamo l’innovazione di significato, che riguarda la visione originale che ridefinisce il valore assegnato al problema. Porta l’innovazione a un livello più alto, non solo ad un nuovo come, ma a un nuovo perché: suggerisce nuove ragioni per cui la gente dovrebbe usare qualcosa, una nuova proposta di valore, un’interpretazione originale di ciò che è rilevante e significativo per il mercato, In sintesi una nuova direzione[6].
Questi due approcci non sono esclusivi e neppure sono sequenziali temporalmente, nel senso che nel panorama dell’innovazione convivono ed evolvono entrambi.
Il mindset dell’innovatore
Però è indubbio che l’innovazione di significato rifletta la complessità della contemporaneità, le sue spinte riflessive ed individuali, perché la ricerca di significati comporta un percorso in un certo senso semiotico, ovvero interpretativo. Un percorso che parte sempre e comunque da un singolo, il soggetto motore e portatore del nuovo significato[7],
Messo in sicurezza l’approccio metodologico, è stato proprio sul soggetto che abbiamo avviato la seconda riflessione del nostro percorso. Perché se è il singolo che guida l’innovazione, oggetto della nostra analisi non era la soluzione, quanto piuttosto la mentalità con cui il soggetto si approccia all’innovazione, in altre parole il mindset dell’innovatore.
Allora se l’intento è stato di andare a leggere il mindset dell’innovatore, abbiamo pensato di rifarci all’evoluzione dell’uomo.
Dove c’è l’imperfezione è la promessa di nuove storie”.
Ecco qui un altro problema. Mi sono ricordata che sempre nel testo di Telmo Pievani veniva citata Rita Levi Montalcini e la sua definizione di cervello. “Il cervello è un accrocco: il risultato di mettere insieme parti diverse, alla bella e buona, parti antiche con parti buone, che fanno cose anche in contraddizione che poi interagiscono e che fanno di necessità e virtù. Una struttura estremamente imperfetta, ma dentro quell’imperfezione c’è il segreto della sua potenza e creatività. Se cercate un cervello perfetto andate dalle formiche (che si sono sviluppati più di 600 milioni di anni). Ma dalle formiche non è mai uscito un Shakespeare o un Leonardo da Vinci.”
E in effetti l’innovazione è un percorso imperfetto. E come diceva sempre Pievani, citando Charles Darwin questa volta “Dove c’è l’imperfezione è la promessa di nuove storie”.
Anche in questa interpretazione del nostro cervello, siamo però soliti pensare che il frutto dell’ingegno umano sia più libero e incondizionata rispetto agli organismi ancorati al loro DNA. E’ vero apparentemente. L’evoluzione tecnologica è rapidissima e spesso travolgente. Gli economisti e tecnologici Kevin Kelly e William Brian Arthur dicono che molti prodotti tecnologici si sono affermati indipendentemente dalla loro efficienza e sono il frutto di riutilizzi di componenti e strutture esistenti.
Anche la tecnologia, come l’evoluzione biologica, non è frutto di un disegno ottimale, ma di un processo che prevede arrangiamenti, imperfezioni e cooptazioni funzionali. Un atteggiamento che citando una definizione dell’antropologo francese Claude Lévi–Strauss potremmo dire del bricoleur, ovvero assemblare con i mezzi scarsi e pezzi di risulta.
L’innovazione è imperfetta, il cervello è imperfetto. Insomma sempre peggio.
L’innovazione e le emozioni
E poi c’era un altro aspetto. Sia l’innovatore che colui che fruisce dell’innovazione sono soggetti alle emozioni. Qui ci hanno aiutato i contributi di Antonio Damasio[8]. Grazie ai suoi studi sull’emozioni e gli aspetti cognitivi del nostro pensiero, abbiamo la consapevolezza che le emozioni sono parte integrante del nostro ragionamento e che provare a scinderle dalla ragione è anacronistico ed inutile. “Una consapevolezza” che ci ha spinto a porre a ogni nostro ospite la domanda sul suo punto di vista delle emozioni.
Infine In questo viaggio all’indietro, dove ci siamo fermati?
Ci siamo fermati a Giacomo Leopardi, che nel 1836 purtroppo quasi al termine dei suoi giorni, nella “Ginestra” punta il suo sarcasmo nelle Magnifiche sorti progressive cantate dal cugino Terenzio Mamiani. Nella complessità dell’esistenza, sul baratro di un antropocentrismo che mette a rischio, nella sfida agli equilibri di natura, il nostro ecosistema, la forza e la saggezza della ginestra ,capace sempre di riconosce il proprio limite, sta nella volontà di non essere mai sola ma stretta in una social catena un po’ come questa esperienza di Rinascita Digitale.
L’innovazione è anche fare un passo indietro.
[1] Su questo tema, si veda anche il testo di Frank Barrett, “Disordine armonico: Leadership e jazz.
[2] Tratto da “Viaggio nelle teorie dell’innovazione“ di Giordano Ferrari.
[3] https://dizionario.internazionale.it/parola/innovare
[4] https://www.youtube.com/watch?v=WDn3yQKfpqY
[5] Roberto Verganti, Overcrowded Il manifesto di un nuovo modo di guardare all’innovazione” Hoepli, Milano 2018.
[6] Roberto Verganti, Overcrowded Il manifesto di un nuovo modo di guardare all’innovazione” Hoepli, Milano 2018.
[7] L’innovazione di significato è “inside-out” ovvero parte dall’interpretazione di un singolo, più che da un bisogno di molti come nel caso dell’innovazione di soluzioni, non a caso detta outside-in.
[8] L’errore di Cartesio di Antonio Damasio.